KANA’ e’ il luogo dove l’antica cucina calabro-arbëreshe diventa cultura e identità. Luogo di incontro e di scambio.
Tracce di tante civiltà che si sono succedute nel territorio calabrese, e il cui influsso permane nel patrimonio culturale e nella morfologia stessa della regione, caratterizzata da un alternarsi di variegati paesaggi, fanno si che dal punto di vista gastronomico, la Calabria sia quanto mai ricca e stimolante, dall'olio al vino, dalla carne al pesce, dai prodotti caseari al salumi, dagli ortaggi alla frutta.
A lasciare il segno nella gastronomia calabrese è stata anche la matrice culturale albanese, un tipo di "cucina povera" basata sulla semplicità e sulla genuinità dei prodotti della terra arricchita dai sapori ottenuti con gli aromi delle erbe officinali, di cui la montagna del Pollino è piena, a questo va aggiunta la fantasia delle donne arbëreshe che continuano ad inventare pietanze molto ricercate.
Nelle nostre comunità si può gustare un tipo di cucina, oggi riscoperta, che quotidianamente era in uso nelle
caratteristiche abitazioni del 600, dove sembra che ancora si avverta il profumo dei saporiti arrosti e fragranti torte pasquali.
Si è rivalutata anche la cultura delle buone tradizioni familiari, depositarie di antichi rituali e dove primeggia il senso dell'ospitalità, di cui sicuramente beneficerà il turista già favorito dalla natura, per lo spettacolo meraviglioso che offre la regione, la cui terra baciata dal sole offre prodotti di qualità dei monti, delle colline, delle pianure e dei due mari.
Fin da quando ero piccola ho partecipato alla preparazione dei cibi e dei pranzi che mia madre con le zie si adoperavano a preparare nelle grandi occasioni e nelle feste importanti dell'anno.
E' stata una fortuna per me assistere. Ho imparato l'arte della cucina arbëreshe, sottraendola così all'oblio ed alla omologazione con quella dei latini. La pasta di casa è un'arte che ho appreso da piccola da mia madre e poi ho perfezionato nel tempo. Le principali difficoltà nel preparare le shtridhële sono trovare il ritmo giusto nel maneggiarle e possedere una buona manualità, con l'esperienza poi, si riesce a raggiungere esattamente la precisione.
Mia madre Maria Rosa detta "Bionda Rozandonit" era maestra di shtridhële. Quanto ho raccontato mi ricorda quand'ero piccola
e mi era consentito, durante le grandi riunioni di famiglia, di partecipare soltanto come assistente alle operazioni di preparazione o rifinitura per la confezione della pasta. L'operazione avveniva nella grande casa delle mie zie Adelina ed Emilia, nubili, dove si respirava sempre un'aria di festa e noi nipoti ci riunivamo per il pranzo e la merenda fatta di pane caldo appena uscito dal foro.
E poi vi erano i dolci e la pasta, tutti fatti in casa, perché loro amavano cucinare, specialmente per i nipoti. Ero la più piccola e potevo servire a tavola. Iniziavo a servire le portate agli uomini, poi alle consorti e tutto quello che rimaneva era per noi.
"Ata janë burra" -sono uomini- ammonivano le zie alle mie frequenti proteste di non voler mangiare ciò che rimaneva.
Piccole scene, come dei fotogrammi impressi nella mia mente di bimba, tessere di un puzzle che sono diventate parte fondante della mia vita familiare, del mio vissuto, della mia esperienza.
Con il passare degli anni, ho realizzato tra le quattro pareti della cucina, ciò che mi era sempre piaciuto fare, mettendo a frutto i preziosi insegnamenti dei miei, gli studi sulla tradizione gastronomica arbëreshe e l'arte dell'ospitalità.
di Lucia Martino, Ambasciatrice dell'accademia di cucina calabro-arbëreshe nel mondo